
TRA ILLUSIONI STATISTICHE E REALTÀ QUOTIDIANA
Nel panorama europeo, l’Italia sembra essere un esempio virtuoso per quanto riguarda la parità salariale tra uomini e donne. Secondo i dati Eurostat del 2023, il nostro Paese presenta un gender pay gap non-rettificato del 4,3%, a fronte di una media europea del 12,7%. Ma basta scavare un po’ sotto la superficie per rendersi conto che quel numero, apparentemente rassicurante, non racconta tutta la storia.
Il dato “non-rettificato” tiene conto solo della retribuzione oraria lorda, senza distinguere tra tipologie di impiego, livelli professionali, carriere interrotte, o settori di occupazione. In altre parole, confronta ciò che si guadagna a parità di ora lavorata, ma non tiene conto del perché le donne lavorino, in media, in settori meno remunerativi o con ruoli meno apicali.
Le crepe dietro la facciata
Maria, 38 anni, è project manager in una società di consulenza. Ha le stesse responsabilità del suo collega uomo, stesso team, stessa esperienza. Ma quando ha chiesto un adeguamento salariale, si è sentita rispondere che “non è ancora il momento”. Solo più tardi ha scoperto che il collega guadagnava il 15% in più. “Non è solo una questione di soldi, è una questione di rispetto e riconoscimento”, racconta con amarezza.
Sanità: una maggioranza femminile, ma non ai vertici
Nel settore sanitario le donne rappresentano oltre il 70% del personale, ma sono ancora una netta minoranza nei ruoli apicali. “Sono infermiera da 22 anni, lavoro su turni anche di notte, ma quando si tratta di assegnare incarichi di coordinamento o aumenti, vedo passare avanti i colleghi uomini, spesso più giovani,” racconta Francesca, 51 anni, di Bologna. “Le donne sono considerate più affidabili, ma meno ‘adatte’ a gestire.”
Istruzione: la scuola è donna, ma il potere è uomo
Anche nella scuola le donne dominano numericamente: il 78% degli insegnanti è donna, ma i dirigenti scolastici e i professori universitari uomini sono ancora più numerosi. Silvia, 45 anni, docente di liceo, sottolinea: “Noi insegnanti donne veniamo spesso assegnate a corsi ‘minori’ o considerati meno prestigiosi. Chi si occupa di materie STEM è quasi sempre un uomo. E in università, le carriere femminili si interrompono o rallentano dopo il primo figlio.”
Tecnologia: il paradosso della competenza
Nel settore tech, la presenza femminile è ancora marginale, e spesso sottovalutata. Elena, 32 anni, è sviluppatrice software in una startup milanese: “Mi sono laureata con 110 e lode, ma al colloquio il CEO ha chiesto se ‘programmare fosse davvero una mia passione’. Al mio collega uomo, con voti più bassi, hanno offerto subito un contratto più alto. È come se fossimo costantemente sotto esame, e con un salario inferiore come standard.”
Un divario che nasce prima dello stipendio
Molte donne si trovano costrette ad accettare lavori part-time, o posizioni meno stressanti per poter conciliare famiglia e lavoro, spesso senza reali alternative. Le carriere si interrompono per la maternità, o semplicemente si rallentano. Questo fenomeno, noto come “motherhood penalty”, è tra le principali cause del gender pay gap rettificato, che – secondo alcune stime – in Italia può superare il 20%.

Le conseguenze: oltre il portafoglio
Il divario retributivo ha effetti che vanno ben oltre la busta paga. Economicamente, significa pensioni più basse per le donne, maggiore dipendenza economica e minori possibilità di investimento e autonomia. Socialmente, rafforza stereotipi di ruolo e frena la mobilità sociale femminile. Antropologicamente, perpetua una cultura in cui il lavoro femminile è considerato “di supporto” e non “centrale”. Psicologicamente, si traduce in frustrazione, burnout e senso di invisibilità.
Come spiega la sociologa Elena Mazzanti, “non si tratta solo di retribuzioni diverse, ma di una struttura sociale che penalizza il contributo delle donne, soprattutto nei ruoli di potere e nelle professioni ad alto reddito.”
Verso un futuro più equo
Le soluzioni non mancano, ma richiedono un cambio di paradigma. Serve maggiore trasparenza salariale, incentivi per la condivisione del carico familiare, percorsi di carriera più flessibili e inclusivi. Alcune aziende stanno adottando audit interni sulle retribuzioni, introducendo pratiche di equità salariale e promuovendo il lavoro agile come leva per l’equilibrio vita-lavoro.
Ma il cambiamento più difficile resta quello culturale. Finché continueremo a considerare il lavoro femminile come “accessorio”, il divario retributivo resterà una ferita aperta nel tessuto della nostra società.