
GENERE, SPAZIO E TRASFORMAZIONI URBANE
La città non è solo un agglomerato di edifici e strade, ma un organismo vivo, carico di significati, relazioni e poteri. Chi abita e attraversa lo spazio urbano lo fa in base a molteplici fattori: classe, etnia, età, abilità fisica – e genere. Lo spazio urbano è tutt’altro che neutro: è stato storicamente progettato da e per uomini, riflettendo un modello patriarcale che ha a lungo escluso la prospettiva femminile. Questo articolo esplora le differenze nel modo in cui donne e uomini vivono e percepiscono la città, analizza come queste dinamiche siano cambiate nel tempo e propone esempi concreti che illustrano tali trasformazioni.
La città patriarcale: uno spazio maschile per definizione
Fin dalla sua nascita, la città è stata costruita come estensione del potere maschile. L’antica polis greca, simbolo della partecipazione civica, escludeva le donne dai luoghi pubblici decisionali. Il Medioevo e l’età moderna hanno proseguito in questa logica, relegando le donne allo spazio privato della casa. Anche l’urbanistica moderna ha perpetuato questa divisione, strutturando le città secondo le esigenze del lavoro maschile e della mobilità automobilistica, trascurando la vita quotidiana, la cura e la sicurezza.
La città vissuta: esperienze quotidiane di genere
Donne e uomini vivono la città in modo diverso: mentre l’uomo spesso occupa lo spazio urbano come luogo di affermazione e potere, la donna lo attraversa spesso con maggiore cautela, per motivi legati alla sicurezza, alla gestione del tempo e alla necessità di conciliare lavoro e cura. Le donne sono più frequentemente utenti del trasporto pubblico, più legate a una mobilità “multitasking” (spostamenti brevi e frequenti), mentre gli uomini si muovono più spesso con mezzi privati e in maniera lineare. Le percezioni di pericolo, specialmente nelle ore notturne, influiscono anche sulla libertà di movimento femminile.
Cambiamenti e rivendicazioni: verso una città inclusiva
A partire dagli anni ’70, con l’emergere dei movimenti femministi, cresce la consapevolezza del bisogno di ripensare la città in ottica di genere. Si sviluppa un’urbanistica femminista, che chiede città più accessibili, sicure e inclusive. Alcuni esempi virtuosi emergono in Europa: a Vienna, ad esempio, progetti come “Frauen-Werk-Stadt” hanno realizzato quartieri progettati secondo le esigenze delle donne, integrando trasporti, servizi, spazi verdi e abitazioni pensate per facilitare la vita quotidiana. In Italia, esperienze come quella di Lorenza Baroncelli, urbanista e direttrice artistica della Triennale di Milano, promuovono un’idea di città più partecipativa e attenta alla dimensione umana.
Testimonianze e voci che incarnano il cambiamento
Molte figure hanno contribuito a evidenziare e trasformare il rapporto tra donne e città. Jane Jacobs, urbanista e attivista statunitense, ha denunciato già negli anni ’60 l’alienazione prodotta da una pianificazione urbana impersonale e ha valorizzato l’importanza delle relazioni di prossimità e della vita di quartiere. In Italia, la sociologa Elena Granata lavora per una città “gentile”, basata sull’inclusione e la qualità della vita. Anche artiste e attiviste come Lidia Ravera o Michela Murgia hanno raccontato nei loro scritti lo spazio urbano come luogo di potere, conflitto e speranza
Conclusione
Riconoscere il genere come categoria fondamentale nell’analisi e nella progettazione dello spazio urbano è un passo necessario verso una città più equa. La città deve diventare un luogo dove tutte le soggettività possano esprimersi, muoversi e vivere in sicurezza e dignità. Le donne, storicamente escluse dalla progettazione e gestione dello spazio pubblico, stanno oggi reclamando il diritto alla città: non come consumatrici passive, ma come protagoniste attive della trasformazione urbana.