
Le donne mediatrici di pace hanno un ruolo cruciale, anche se spesso sottovalutato o ostacolato dai sistemi politici e culturali.
Quando le donne partecipano ai processi di pace, non solo aumentano le probabilità che un accordo venga raggiunto, ma anche che questo duri nel tempo.
Perché le donne fanno la differenza nella mediazione:
- Prospettiva inclusiva: tendono a portare al tavolo voci spesso escluse, come quelle delle comunità locali o delle vittime civili.
- Orientamento alla riconciliazione: spesso privilegiano la costruzione di relazioni e la coesione sociale.
- Esperienza diretta dei conflitti: molte donne vivono le guerre in modo diverso e possono offrire letture più ampie delle conseguenze umane dei conflitti.
- Approccio alla mediazione: spesso privilegiano un approccio collaborativo e relazionale, cercando soluzioni che tengano conto delle emozioni e dei bisogni di tutte le parti.
- Comunicazione e ascolto: mostrano una maggiore propensione all’ascolto attivo, all’empatia e alla costruzione di fiducia.

Qual è la situazione attuale?
Secondo dati ONU, meno del 20% dei negoziatori di pace a livello globale sono donne.
Le risoluzioni come la 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sottolineano l’importanza del ruolo femminile nei processi di pace, ma l’attuazione concreta è lenta.
Cosa servirebbe per aumentare le opportunità?
- Formazione specifica per donne mediatrici a livello locale e internazionale.
- Riforma delle strutture negoziali, che spesso sono esclusive e poco trasparenti.
- Riconoscimento formale del ruolo delle donne nella sicurezza e nella costruzione della pace.
Ci sono anche alcuni esempi di donne che hanno contribuito alla pace: come Leymah Gbowee in Liberia o ai movimenti femminili che hanno influenzato i colloqui di pace in Colombia. La loro presenza ha portato cambiamenti tangibili.
In definitiva, promuovere la partecipazione delle donne nella mediazione non è solo una questione di equità, ma una scelta strategica per società più giuste e durature.