
UNA SENTENZA STORICA
Durante il periodo coloniale belga in Congo, le donne congolesi che avevano relazioni con uomini bianchi spesso subivano la separazione forzata dai loro figli nati da queste unioni miste. Questi bambini, noti come “métis”, venivano sistematicamente allontanati dalle madri e collocati in istituzioni religiose o affidati a famiglie belghe, con l’obiettivo di evitare che rivendicassero in futuro un legame con il Belgio.
Questa politica di segregazione razziale mirava a prevenire le unioni interrazziali e a isolare i bambini métis, considerati “figli della vergogna”. Le autorità coloniali, in collaborazione con istituzioni religiose, attuavano queste misure senza il consenso delle madri congolesi, spesso minacciandole con ritorsioni in caso di rifiuto.
Un caso emblematico riguarda cinque donne—Monique Bitu Bingi, Léa Tavares Mujinga, Noëlle Verbeken, Simone Ngalula e Marie-José Loshi—che, tra il 1948 e il 1953, furono sottratte alle loro madri congolesi e affidate a missioni cattoliche nel Congo belga. Nel 2020, queste donne hanno intentato una causa contro lo Stato belga, chiedendo il riconoscimento delle violazioni dei diritti umani subite.
Inizialmente, nel 2021, un tribunale di primo grado aveva respinto la loro denuncia, sostenendo che tali atti, sebbene inaccettabili, non costituivano crimini contro l’umanità. Tuttavia, il 2 dicembre 2024, la Corte d’Appello di Bruxelles ha ribaltato questa decisione, riconoscendo che il rapimento sistematico dei bambini métis e il trattamento loro riservato rappresentavano crimini contro l’umanità. La Corte ha condannato lo Stato belga a risarcire ciascuna delle cinque donne con 50.000 euro e a coprire un milione di euro di spese legali.
Questa sentenza storica non solo offre giustizia alle vittime, ma rappresenta anche un passo significativo nel riconoscimento delle atrocità commesse durante il periodo coloniale. Essa invita a una riflessione più ampia sulle responsabilità storiche e sulle conseguenze delle politiche coloniali, contribuendo a riscrivere la storia dal punto di vista delle donne congolesi e dei loro figli, le cui vite sono state profondamente segnate da tali pratiche discriminatorie.